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Emozioni, inconscio e guarigione emotiva

 

Prima di parlare di emozioni, facciamo un passo indietro. In un precedente articolo abbiamo parlato di credenze, come fare per riconoscerle e cambiarle. Ma come mai è così difficile cambiare le credenze? Anche quando razionalmente sappiamo bene che sono negative e che ci producono malessere, nonostante tutto continuiamo a metterle in atto attraverso comportamenti controproducenti per noi. Quante volte vi sarà capitato di decidere razionalmente domani mi metto a dieta e giunti a domani vi siete abbuffati? Quante volte avete promesso a voi stessi di smettere di arrivare in ritardo ai vostri appuntamenti quotidiani ed invece vi ritrovate a correre come matti per strada? Questo accade perchè le credenze hanno una componente emotiva inconscia.

L’inconscio è un particolare regno della psiche con impulsi di desiderio propri, con una propria forma espressiva e con propri caratteristici meccanismi psichici che non vigono altrove.

                                                                                                                                                                     Sigmund Freud

Spesso avrete sentito parlare dell’esempio dell’iceberg, e proprio su questo voglio farvi riflettere: quello che normalmente vediamo dell’iceberg è solo la parte che emerge dall’acqua, quella su cui soffiano i venti, e non siamo consapevoli che al di sotto di essa si trova una parte molto più grande, su cui spingono le correnti del mare, assai più forti e costanti dei venti della coscienza. Subconscio e inconscio esistono e guidano la vostra vita molto più della coscienza e della mente razionale. Ecco perché se prendete decisioni con la mente conscia, decisioni razionali, sensate, logiche, opportune  poi non  riuscite a rispettarle, perchè qualcosa era più forte di voi! È il subconscio che, ricevendo il messaggio di una imminente “carestia”, governato come è dal principio del piacere di freudiana memoria e dall’istinto di sopravvivenza, reagisce facendo scorte di cibo. E questa è la ragione per cui le diete non funzionano, così com’è la ragione per cui dopo una dieta recuperate i chili persi, come si suol dire, «con gli interessi».

Sei nella dimensione della felicità legata al vincere la tua sfida personale. Niente a che vedere con il livello della felicità legata alla coltivazione degli affetti, che pure è anch’essa condizionata dall’andamento delle dinamiche emotive e relazionali, e ancor meno a che vedere con la felicità incondizionata che deriva da un passaggio interiore. Nel caso della lotta verso il raggiungimento di un obiettivo, la mente conscia impone la propria volontà, in base alla motivazione che la muove, ma non è affatto detto che questa motivazione conscia sia congruente con la motivazione che anima il subconscio. Per questa ragione serve un grande sforzo, una grande carica per raggiungere l’obiettivo. Questo va bene se si tratta di una peak performance, una metodologia insegnata in tanti corsi di formazione che pure io ho frequentato. Proprio da queste esperienze ho compreso che ciò che si impara frequentando un corso, durante il quale sei supportato da un gruppo numeroso in un determinato contesto non è detto che “puoi portarlo a casa” e metterlo in atto nella vita quotidiana. E probabilmente, e credo di leggere nel pensiero di alcuni di voi che magari si trova senza lavoro, o con una persona ammalata in casa, oppure con bambini da crescere, lavorare e contemporaneamente pensare al proprio benessere, potreste dire “Eh dici bene … ma se fossi tu nella mia situazione?”

Un percorso terapeutico deve sempre iniziare con la guarigione delle emozioni

Un percorso terapeutico lo faccio sempre iniziare con la guarigione delle emozioni. Perché come terapeuta, ma anche come essere umano che ha vissuto e vive e sperimenta in prima persona alcune situazioni come quelle di cui ho parlato prima, posso dirvi che, se non vi è guarigione emotiva, nessuna reale guarigione potrà avvenire, e senza la guarigione emotiva nessun percorso, anche spirituale, potrà essere compiuto davvero efficacemente. Se questo viene realizzato nella maniera corretta, le situazioni difficili non cambieranno nella nostra vita ma saremo in grado di affrontarle in modo diverso. E’ importante capire il ruolo fondamentale e potente della parte sommersa della nostra psiche. Essa possiede una forza immensa e potete comprenderlo e cominciare a imparare come utilizzarla o cercare continuamente di opporvi a essa con la volontà cosciente. Senza dubbio è faticoso, ma può funzionare, almeno a volte, anche per un po’. Si chiama motivazione e se sei motivato da un obiettivo, sei nella posizione di chi sta lottando per raggiungerlo e la tua felicità dipende da quello e sei pronto anche a fare grandi sforzi perché l’obiettivo si realizzi.

Spesso vengono da me persone che hanno intrapreso molti tipi di percorsi di crescita personale, di lavoro spirituale, e continuano ad avere problemi, sintomi, difficoltà irrisolte nella loro vita di relazione, lavorativa, affettiva. Questo accade perché, se le emozioni represse, le emozioni distruttive inconsce, i copioni emotivi disfunzionali non vengono riparati, essi continuano a interferire nei percorsi di crescita personale. In altri termini, là dove vi fossero irrisolti emotivi, è come se vi fosse una zavorra, un carico pesante tale che, per quanti sforzi la persona faccia di volare in alto, verso i regni dell’anima e dello spirito, e per quanto talora ci riesca, con grande impegno e strenua forza di volontà, tuttavia d’un tratto, le emozioni ancora irrisolte si fanno sentire e producono una caduta, anche rovinosa, per la stima di sé e per la fiducia nella possibilità di una reale trasformazione.

Naturalmente i modi per fare questo sono molteplici e potrebbero essercene infiniti quanti infiniti sono gli esseri umani. In questo articolo voglio soffermarvi proprio sulla guarigione emotiva e di quelle tecniche che per la mia esperienza, e in base agli studi neuroscientifici di avanguardia, risultano le più efficaci e potenti.

Cos’è la guarigione emotiva?

Forse vi starete chiedendo cosa sia davvero la guarigione emotiva. Di emozioni si parla ovunque, ed esse sono senza dubbio il tema più significativo della medicina attuale. Vorrei farvi riflettere un istante su di voi, ora. Forse vi siete trovati spesso a chiedervi come avviene davvero la guarigione piena, forse vi siete chiesti come fanno certe persone a cambiare la propria vita, a essere davvero felici. Sapete che persone famose, ricche, bellissime non sono state necessariamente felici, e invece, come è capitato adun mio paziente, magari un giorno avete deciso di cambiare molte abitudini perché avete posto il vostro sguardo su qualcosa di diverso, anche se fosse solo il panorama che vedete dalla finestra della vostra camera.

Oppure avete qualcuno che è più vicino a voi, che vi sembra in pace, che sembra fluire e saper surfare sulla vita restando sull’onda di ciò che accade, lasciandosi portare con naturalezza, qualcuno che vede la vita sempre come un’opportunità e ha la voglia e l’entusiasmo di creare il nuovo ogni giorno nel suo presente. Come fanno queste persone? In cosa differiscono da tutte le altre, che paiono afflitte, nervose, vittime degli eventi o, come si dice, anche semplicemente stressate? Lo stress oggi è responsabile di moltissimi disturbi, che trovano nelle copiose prescrizioni farmacologiche del medico di base un vano tentativo di soluzione. Antiacidi, antiipertensivi, anticolesterolemici, antidolorofici, sonniferi, ansiolitici, antidepressivi sono tra i farmaci più prescritti nei Paesi cosiddetti sviluppati e oggi pare normale che questo accada e si accettano sintomi e malesseri come fosse normale, liquidando il tutto con la solita frase: «Tutta colpa dello stress».

Ma è davvero così? È solo stress? E lo stress che cos’è? È giusto accettare di vivere con almeno uno di questi malesseri che vanno dall’acidità gastrica al colon irritabile, dai dolori muscolari e osteoarticolari alla cefalea, dall’ipertensione alle dermatiti, dalle intolleranze alle vertigini e agli acufeni, fino all’insonnia, ad alterazioni del peso, all’ansia, ai disturbi sessuali e genitali, alle dipendenze, alla distimia ecc? Sono certa, purtroppo, che almeno uno di questi disturbi lo conoscete tutti. È accettabile pensare che sia normale? Certamente no. Lo stress altro non è che la risposta fisiologica ad uno stimolo, esso serve alla vita, tanto che qualcuno in questa accezione lo chiama eustress, stress buono. Quando questo stress si prolunga, diviene cronico e perdurante, allora logora il sistema psicocorporeo, altera il prezioso equilibrio neurovegetativo tra sistema simpatico e sistema parasimpatico, supera le soglie della capacità di compensazione che esso ha e produce una sindrome, un malessere. E se vi dicessi che proprio le emozioni entrano in modo centrale in tutto questo? Che lo stress dipende non tanto dallo stressor, cioè dal fattore stressante esterno che vi trovate a vivere, ma bensì da come voi lo vivete dentro. E come voi lo vivete, lo interpretate, lo sentite, dipende dal vostro benessere emozionale.

Il benessere emozionale è dato dalla capacità di sentire pienamente le emozioni che vengono letteralmente stimolate (“emozioni” deriva appunto da e-movere, sono dunque reazioni mosse da qualcosa, qualcuno, un evento esterno, ma anche un vostro pensiero, un ricordo, una immagine, una canzone e così via) e di lasciarle fluire in modo che l’energia di cui sono fatte possa effettivamente scaricarsi e scorrere. Il benessere emozionale dipende fondamentalmente da ciò che avete potuto apprendere su come affrontare le vostre emozioni e dunque, è strettamente legato alle esperienze emotive della vostra vita e, soprattutto, della vostra vita infantile.

La guarigione emotiva avviene entrando in contatto diretto con l’inconscio emotivo e divenendone consapevoli

La guarigione emotiva accade entrando in contatto diretto con il vostro inconscio emotivo, aprendolo, divenendone consapevoli, vincendo la fobia emotiva che oggigiorno tutti quanti almeno un poco patiamo e aprendo il cuore al sentire. Questo comporterà un vero e proprio viaggio dentro di voi, di scoperta, di apertura, di riparazione e di perdono. Chi guarisce le proprie emozioni sperimenta, infatti, una straordinaria leggerezza, un senso di profonda amorevolezza verso di sé e gli altri, un senso di grande integrazione psicosomatica e la libertà da sintomi e malesseri; ci si sente forti, sentiamo di avere in mano le chiavi della comprensione di sé e siamo colmi di fiducia nelle proprie capacità. Proviamo un senso di connessione e di potere, fonte di profonda felicità interiore.

Molti miei pazienti che hanno sperimentato tutto questo, dopo un percorso di trattamento con le tecniche di lavoro emotivo che io applico, mi hanno riferito che non avrebbero potuto immaginare di cosa si trattasse finché non lo hanno sperimentato, poiché si tratta di una transizione difficilmente descrivibile a parole. Questo è un fattore cruciale: per guarire le emozioni, l’intelletto non serve. Il punto è che cercate di risolvere i problemi emotivi con la mente razionale. Essa lavora in modo logico-consequenziale e la sua domanda preferita è «perché?». Questo tuttavia non serve per problemi di natura emozionale per i quali non conta il perché, anzi spesso questa domanda blocca la persona in un tragico «non lo so».

Un mio paziente non sapeva perché si sentisse così tanto male da bloccarsi, sentirsi impotente e poi andare incontro a reazioni distruttive come rompere oggetti lanciandoli contro il muro, quando discuteva con la moglie che aveva reazioni intense come alzare la voce o criticarlo. Aveva perso il sonno, aveva difficoltà sul lavoro, accusava tutti i segni di una infiammazione gastrica ed era diventato iperteso. Quella era la ragione per cui, dopo aver provato ad assumere un ansiolitico senza successo, si era deciso a prendere un appuntamento. Non sapeva cosa lo attendeva esattamente e voleva risposte, ma si trovò di fronte a domande diverse da quelle che si era fatto. Gli chiesi cosa provasse in quei momenti, come sperimentasse nel corpo ciò che sentiva. Successe che si vide improvvisamente bambino sulla via di casa, al ritorno da scuola, tremante e impotente davanti alla depressione che sua madre pativa dalla separazione con il padre e che la rendeva ipercritica nei suoi confronti, svalutante e spesso aggressiva. Fu allora che tutta la rabbia e il sottostante dolore trovarono una via di espressione. Immediatamente sperimentò la completa scomparsa dell’ansia che lo attanagliava e del bruciore allo stomaco ormai costante. Dopo qualche mese anche la pressione si normalizzò.

Un’altra mia paziente giunse per una sindrome da colon irritabile con attacchi di dissenteria tali da averla costretta a lasciare il lavoro. Non credeva alla possibilità che le emozioni avessero un ruolo in quel disturbo, ma quando le chiesi di portare l’attenzione alla sua pancia, al senso di tensione che provava, superate le prime difficoltà di calarsi efficacemente nel corpo, cominciò a sentire che sotto quella tensione c’era della rabbia; quando le chiesi come la sperimentasse nel corpo, mentre ci pensava fu sorpresa di vedere improvvisamente davanti ai suoi occhi l’immagine del padre, morto di infarto anni prima, con ancora parecchi conti affettivi in sospeso con lei. Queste storie vogliono essere solo due brevi esemplificazioni di come nelle questioni emozionali ciò che conta è il cosa, come, quando, dove… Non appena si cominciano a esplorare questi parametri, ecco aprirsi una concatenazione di ricordi e vissuti che conduce rapidamente e in maniera quasi chirurgica alla ferita da riparare.

Non è necessario ripercorrere tutta la storia di una persona dall’alfa all’omega, perché le sensazioni del corpo sono come una bussola, esplorarle è come essere rabdomanti che d’un tratto sentono vibrare la bacchetta e scendendo in profondità proprio in quel punto trovano l’acqua. Tutto questo accade se si riesce a portare l’attenzione al corpo e a far esperire direttamente ciò che in esso accade. Quel precetto è collegato direttamente con l’esperienza che l’ha originato, non con le parole di una narrazione, ma con il sentire che è nella memoria emozionale del corpo stesso.

Le emozioni non sono pensieri, sono in primis eventi corporei

Questo perché le emozioni non sono pensieri – esse possono essere mosse da pensieri o condizionare pensieri – ma sono in primis eventi corporei. Provate a pensare ai modi con cui le esprimete: «Era verde di rabbia », «Mi si sono rizzati i capelli in testa», «Avevo un peso sullo stomaco », «Mi sono cascate le braccia», «Mi si è aperto il cuore», «Mi sono sentito sollevato…» e così via. Ogni volta che esprimete uno stato emotivo, anche senza rendervene conto, fate riferimento al corpo. Perché le emozioni, come già sapete, abitano il corpo e attraverso esso si manifestano e si fanno sentire. Il corpo, in questo senso, è il teatro della vita emotiva e dell’inconscio; nella memoria del corpo tutto viene registrato, fin dai mesi della gestazione e fino al momento in cui il bambino comincia a parlare, e fino ad allora ogni esperienza è vissuta come fisica, ogni attimo è tradotto in un codice somatico che resta nella memoria dei tessuti e anche delle cellule.

Questa è quella memoria implicita, quell’inconscio implicito che può tornare a farsi sentire anche d’improvviso e che sembra provenire da una notte della coscienza dove non ci sono neppure parole per dirlo. Non resta che sentirlo. E qui sorgono i problemi. Nonostante viviamo in un’epoca nella quale la fisicità è costantemente esibita e non dovrebbe costituire un problema, in realtà la vita corporea non è affatto riconosciuta e l’idea che il corpo abbia una sua intelligenza, una sua memoria e una sua coscienza è tutt’altro che acquisita. Il corpo è piuttosto un oggetto da tenere giovane, da rifare, da mostrare, e i suoi sintomi da reprimere con farmaci che lo zittiscano il più in fretta possibile.

All’estremo opposto ci sono i casi di ossessione per malattie, ipocondria e affini, nei quali il corpo è piuttosto il nemico che potrebbe contenere qualcosa di terribile da cui dobbiamo difenderci. In nessuno di questi due casi il corpo è concepito come parte integrante del nostro essere, ma piuttosto come proprietà («ho un corpo» e non «sono un corpo»). Ritengo che il corpo possa essere invece ben inteso come una dimensione della nostra esistenza: così io lo tratto.

 

Esistiamo in più dimensioni contemporaneamente: corporea ed emotiva, intellettuale, spirituale e ciascuna di queste decorre insieme alle altre. Vi richiamo alla memoria ancora l’esempio delle tracce su di un CD: esistono tutte contemporaneamente e, a seconda di quella che suoniamo, sentiremo un brano diverso. Così, possiamo connetterci alle diverse dimensioni in cui esistiamo e prendere contatto e coscienza di ciascuna di esse con la sua musica e il suo testo. La coscienza, in fondo, altro non è che colui o colei che fa suonare le tracce del CD, le ascolta, le sceglie, le riconosce. Ecco, per guarire le emozioni, dovete connettervi alla dimensione del corpo, andare là dove esso parla, con la sua lingua di sensazioni, a volte anche di sintomi. Questa è anche la ragione per cui le psicoterapie che si rivolgono solo al versante dialettico e intellettuale del vissuto di una persona non potranno mai raggiungere efficacemente tutto quel margine emotivo immagazzinato nel corpo, pre – verbale e sensoriale. Esse potranno aumentare la capacità di riflessione, la comprensione intellettuale, il che è certamente importante, ma sono condannate a perdere le parole dell’inconscio più profondo perché non ne padroneggiano l’alfabeto.

Dunque la chiave sta nel sentire il corpo. Ma il sentire fa paura. Fa paura fare l’esperienza, sperimentare ciò che il corpo ha da dire. Per due ragioni: perché temiamo il dolore e perché temiamo di perdere il controllo. Tutti quanti vorremmo non sentire il dolore, temiamo di soffrire e questo tra l’altro è uno dei meccanismi più potenti che intervengono anche nel far sì che rimaniamo in situazioni non realmente buone per noi, ma che ci assicurano un’ apparente protezione dal dolore.

Penso alle dipendenze affettive, nelle quali perdiamo autostima e forza, pur di evitarci il dolore della solitudine; penso a tutte le volte in cui preferiamo mettere a tacere anche con un farmaco l’urlo del corpo che ci richiama ad ascoltare ciò che non va. Temiamo l’esperienza del dolore, e questo è anche comprensibile, ma finisce con l’alimentare il problema e non permetterci di modificare davvero la situazione. Mi piace fare l’esempio di una persona che ha freddo e indossa una felpa leggera. Qualcuno le offre la possibilità di indossare un caldo piumino al posto della felpa, ma questo comporterà per qualche istante la necessità di togliere la felpa e sentire per breve tempo ancor più freddo.

Ecco, non vogliamo sentire questo freddo, e questo accade perché non abbiamo costruito la capacità di sentire e restare al contempo presenti nel qui e ora con la nostra coscienza, ovvero, se anche accettiamo di sentire l’emozione, finiamo col caderci dentro, non riusciamo a sentire che siamo quell’emozione eppure anche molto altro da essa, che siamo quel corpo e contemporaneamente anche quella mente che lo osserva e quello spirito che lo illumina. Lavorando con le emozioni, scopriremo invece che ogni emozione può essere sentita, che in ultima analisi nessuna di esse è negativa, poiché queste sono qualità che la nostra mente attribuisce alle emozioni in un secondo momento. All’origine ogni emozione è né più né meno che una forza, una energia. Essa si comporta come un’onda; ha una salita, un picco e una discesa, e poi, se lasciata fluire, la cosa straordinaria è che passa, ha una durata più o meno lunga ma poi passa. Così accade anche per il dolore, dunque possiamo scoprire come sentirlo e lasciarlo andare ma ne parleremo quando affronteremo il tema della guarigione energetica.

Questi sono alcuni concetti fondamentali del nuovo modo di fare terapia e tornare a stare bene. Innanzitutto, sentire il corpo e l’emozione è altra cosa dal caderci dentro. Non ha nulla a che fare con il farsi travolgere da un’emozione e perdere il controllo. Questo è un disturbo emotivo tanto quanto il reprimere un’emozione, anzi sono i due estremi dello spettro delle risposte emotive che una persona può avere. Sentire vuol dire fare l’esperienza nel qui e ora del percepito corporeo e dell’emozione che ivi si esprime, potendo restare presenti con il proprio essere, non reagendo con difese, ansia, resistenze, sintomi fisici o agiti comportamentali, ma potendo restare lì, contemporaneamente dentro e di fronte a ciò che dal corpo si dipana alla coscienza. Si tratta di tollerare man mano l’intensità dell’emozione e in questo senso si può dire che la terapia sia sostanzialmente una forma di apprendimento e di costruzione di capacità.

Si tratta di sviluppare una presenza costante a sé che tuttavia non è intelletto distaccato, ma è un sé completamente embodied, incarnato, ma empaticamente incarnato, nel suo corpo, ovvero capace di sentirlo, di amarlo, di essere contemporaneamente dentro esso ma non coincidere con esso. La cosa straordinaria è che, lavorando in questo modo con le tecniche emotive, quello che si raggiunge è l’esperienza diretta, che si auto – dimostra, di come effettivamente siamo uno spirito, o una coscienza se preferite, o ancora un sé incarnato nel corpo, e il corpo, parafrasando lo stesso Jung, altro non è che ciò che dà forma allo spirito. Si può fare l’esempio della differenza che passa tra porsi direttamente davanti al fascio di luce che un faro proietta nel buio o starvi di fianco e stendere un braccio che attraversi il fascio. Nel primo caso saremo del tutto accecati, ed è quello che avviene quando ci lasciamo travolgere dall’emozione, nel secondo “la toccheremo con mano” ma potremo al tempo stesso vederne anche i contorni e la propagazione.

Nei miei corsi propongo molti esercizi per imparare a sviluppare una presenza costante a se stessi e alle proprie emozioni 

                                                                                                                                                                                                                    P. Dondoli

Nei miei corsi di formazione, propongo molti esercizi per aumentare questa capacità che è fondamentale per la salute emotiva; in soli due giorni di corso quello che accade è un completo mutamento della consapevolezza emozionale delle persone, a riprova del fatto che il lavoro sulle emozioni è tanto efficace quanto rapido. Le emozioni sono strumenti fondamentali per la nostra sopravvivenza, bussole per orientarci nel mondo, strettamente connesse alla capacità di prendere decisioni e all’intuizione, facoltà indispensabili per la sopravvivenza. Come aveva già compreso Darwin, e poi hanno specificato sempre più ricercatori come Joseph Le Doux, Antonio Damasio, Paul Ekman, le emozioni di base sono fatti fisici, reazioni a stimoli esterni (azioni, eventi) o interni (ricordi, pensieri e così via) che guidano le nostre risposte e i nostri comportamenti, assai più che il nostro pensiero razionale. In altri termini, sono le nostre emozioni a muoverci e a guidarci nelle varie situazioni della vita, come dice Le Doux, alla stregua del marinaio che aggiusta le vele durante la traversata momento per momento, a seconda del vento e delle condizioni del mare.

Se non le ascoltiamo e ci affidiamo al solo controllo razionale, non sappiamo dove andare, non sappiamo scegliere, non sappiamo cosa vogliamo. Per questo le emozioni sono così importanti, perché agiscono al di sotto della nostra consapevolezza e del nostro intelletto e sono fondamentali per dirigere la nostra rotta. Questo è un modo di vedere le emozioni che forse si scontra con la credenza diffusa che esse siano pericolose e da controllare. Ma qui non stiamo parlando di cadere nell’emozione, le emozioni e i sentimenti che ne costituiscono lo sfondo, quando sentiti in modo sano, non peggiorano le cose, piuttosto le fanno andare meglio, molto meglio.

Cadere in una emozione non è sentirla. Cadiamo in un’emozione quando non siamo in grado di lasciare fluire completamente, di lasciare che l’onda emotiva salga e scenda in noi, quando non siamo in grado di lasciarla andare. Per questo vi restiamo intrappolati. Come vedremo, in realtà ogni emozione ha un suo naturale flusso, e quando essa viene sentita davvero, proprio come un’onda, sale e scende dentro di noi. Un’emozione davvero sentita in modo sano e completo, dopo un certo tempo se ne va, segue il suo naturale flusso e ci sospinge innanzi oltre il suo stesso manifestarsi.

Oggi sappiamo bene come la nostra mente emozionale giochi un ruolo fondamentale nel nostro benessere. Ancora lo stesso Le Doux, nell’affascinante libro Il cervello emozionale, mostra come le connessioni neurali che corrono dalle aree emotive del cervello alle aree del pensiero siano effettivamente più dense e più numerose di quelle che decorrono al contrario. Provate semplicemente a pensare alla vostra vita tra cinque anni o tra dieci anni: pensate a come vorreste che fosse. Potete farlo senza usare i sentimenti? E pensare di scegliere un marito o una moglie senza affidarsi ai sentimenti? Potete farlo? Potete davvero pensare di prendere decisioni senza consultare il vostro sentire? In realtà, no. Per questa ragione, quando non avete guarito le vostre emozioni e dunque le reprimete, le evitate, le rimuovete e così via, finite per prendere decisioni sbagliate, rimanete in situazioni negative per voi o in relazioni che non funzionano. Se noi troviamo il coraggio di entrare veramente in contatto con il nostro sentire, prestargli attenzione e utilizzarlo come guida, allora avremo una visione chiara di tutto lo scenario della nostra vita e le rimuginazioni su cosa vogliamo davvero fare spariranno.

Reprimere le emozioni o caderci dentro, senza lasciarle andare, causa malessere

Oltretutto, se le emozioni sono represse, o se al contrario ci cadiamo dentro senza lasciarle andare, esse causano malessere e difficoltà in tutte le aree della nostra vita e anche nel nostro corpo. Questo accade perché nel cervello si trova un cervello emotivo, un vero e proprio “cervello nel cervello”. Questo cervello è il sistema limbico, sta sotto la corteccia cerebrale, quella parte del cervello che definiamo più evoluta, preposta al linguaggio e al pensiero. Il cervello limbico è costituito da alcune strutture: il lobo limbico, l’ippocampo, l’amigdala, i nuclei talamici anteriori e la corteccia limbica, che supportano svariate funzioni psichiche come emotività, comportamento, attaccamento, memoria a breve termine e olfatto. Lo condividiamo con i mammiferi, e questa è anche la ragione per cui possiamo creare con il nostro cane o gatto una relazione di attaccamento: questi riconosce la nostra voce, il nostro odore e così via, mentre lo stesso non accadrebbe con un rettile, dotato solo delle strutture cerebrali appunto dette rettiliane. È il famoso R-complex di MacLean che risiede nel diencefalo, nel mesencefalo e nella parte iniziale del telencefalo e si occupa dei bisogni e degli istinti innati anche nell’uomo: territorialità, predazione, esplorazione del territorio, procreazione.

Il sistema limbico risulta invece connesso tanto alla conservazione della specie quanto alla vita psichica e al comportamento dell’individuo. È del tutto differente dalla corteccia per architettura neuronale e proprietà biochimiche, e questo rende ragione del fatto che questo cervello funzioni spesso indipendentemente dalla corteccia e su di esso la parola e il pensiero abbiano una efficacia ridotta. Non potete, infatti, comandare con il pensiero a una emozione di sorgere o sparire. Non solo, poiché nelle strutture limbiche i neuroni non sono organizzati in strutture regolari ma piuttosto in un’ amalgama più rudimentale, ecco che ne deriva che l’elaborazione di uno stimolo risulta più primitiva che nella corteccia e al tempo stesso più veloce, adatta cioè a reazioni essenziali per la nostra sopravvivenza. E questo è esattamente quello che accade quando, entrando in una stanza buia, sobbalzate per una corda arrotolata come se fosse un cobra minaccioso. Prima ancora che la corteccia abbia potuto processare l’informazione, il cervello emotivo avrà innescato la reazione di sopravvivenza. Non importa se lo stimolo è reale o solo immaginato…

Questo cervello non fa differenza, il suo scopo è proteggervi da un pericolo. Questa è dunque la ragione per cui vi capita di reagire in modo improvviso e spropositato a uno stimolo, anche se sapete che non dovreste farlo o non serve. La vostra memoria emotiva, la libreria esperienziale nell’archivio limbico, fa sì che ciò che vi può in qualche modo collegare a un “pericolo” inneschi una reazione… Pensate a tutte le volte in cui vi arrabbiate per un futile motivo… Quale memoria emotiva avrà risuonato con questo stimolo, laggiù, negli scaffali antichi della vostra amigdala? È esattamente quello che con le tecniche di lavoro emotivo potete scoprire e riparare. Il dato neurofisiologico interessante è proprio che in queste situazioni si assiste a quello che è stato definito “shutdown corticale”: ovvero la corteccia è stata messa offline, fuori uso, e il sistema sottocorticale antico ha preso il sopravvento, più veloce nella sua risposta cosiddetta di “attacco o fuga”. Lo stesso ippocampo, struttura limbica deputata alle funzioni mnesiche biografiche, nel caso di una reazione sottocorticale a uno stimolo, viene messo fuori uso nelle funzioni di integrazione del dato percettivo all’interno della memoria cosiddetta dichiarativa o esplicita, determinando così l’incremento della memoria cosiddetta implicita e che è strettamente collegata all’inconscio e soprattutto al corpo e non alle parole.

Lo shutdown corticale conduce a una perdita temporanea delle funzioni di mentalizzazione, causando una perdita di visione simbolica, integrazione degli stimoli e capacità di interpretarli, tutte funzioni dell’intelletto. A questo punto tutto accade nel sistema limbico: il talamo, stazione di ingresso, filtro degli stimoli, invia il proprio segnale all’amigdala, primo centro di reazione emozionale, responsabile della reazione impulsiva di attacco o fuga, che risponde con una cascata di reazioni neurovegetative, con rilascio di cortisolo nel sangue dai surreni, analgesia temporanea, attivazione del sistema nervoso autonomo. In altri termini, dopo la primissima reazione di freezing, cui corrisponde soggettivamente quel primo istante di blocco o sorpresa, l’amigdala ci dispone ad attaccare lo stimolo o a fuggirlo, mentre proviamo alternativamente rabbia o paura. Tutto questo accade in soli 12 millisecondi ed è al di fuori della nostra consapevolezza.

Ci vorranno poi sette secondi almeno perché l’increzione ematica di cortisolo si spenga – da qui il vecchio consiglio di contare almeno a fino a dieci prima di rispondere – ma di questo parleremo nella sezione dedicata alla mindfulness emozionale. Al momento il dato interessante è che l’intero processo accade senza che la corteccia abbia ricevuto alcun messaggio. Esiste anche una via di collegamento tra il sistema limbico e la corteccia, chiamato anche “via alta” che decorre dal talamo alla corteccia e dalla corteccia all’amigdala, ma impiega ben 25 millisecondi: questo significa che la risposta somatica accade sempre prima di ogni altra fantasia o riformulazione verbale, che è dunque soltanto un tentativo retrospettivo di spiegare una condizione inconscia, sottocorticale. Comprendete dunque come il ruolo del sistema limbico sia centrale nella nostra vita. Oltretutto il cervello emotivo controlla anche tutto ciò che determina il benessere psicofisico: cuore, pressione arteriosa, ormoni, apparato digerente, sistema immunitario e così via.

Capite, dunque, perché le emozioni siano così strettamente connesse alla salute in tutte le sue forme. Il cattivo funzionamento del cervello emotivo può condurre a disturbi di natura sia psichica sia fisica. Nella maggior parte dei casi, questo malfunzionamento dipende da esperienze dolorose vissute nel passato ed è tanto più grave quanto più precoci, intense e reiterate sono state quelle esperienze. Esse si sono impresse nel cervello emotivo sotto forma di reti neurali che nel presente continuano a rispondere agli stimoli come se il tempo non fosse trascorso, e lo fanno con una risposta automatica di cui la persona non è conscia e soprattutto che la persona non ricollega direttamente all’esperienza negativa originaria o, se la ricollega, non è in grado di riparare, perché appunto sepolta nella memoria implicita. Compito del terapeuta che sappia dunque lavorare con le emozioni è esattamente quello di riprogrammare il cervello emotivo in modo che possa vivere il presente e non reagire continuamente agli eventi del passato.

Questo può essere fatto soltanto con metodi che passino attraverso il corpo, non attraverso il linguaggio e la ragione. Infine non dobbiamo dimenticare che il cervello limbico ha in sé meccanismi di autoguarigione: su questi agiscono i metodi di lavoro emotivo, che riportano l’equilibrio nel sistema limbico, in un modo analogo alla cicatrizzazione di una ferita. Se le emozioni sono così radicate nel tessuto della nostra vita, se sono innate, istantanee e fondamentali per la sopravvivenza, perché mai ci troviamo di fronte a blocchi emozionali e disturbi emotivi? Perché le reprimiamo? Perché resistiamo alla loro libera espressione? Guardate un bambino di pochi mesi, che ancora non ha appreso il linguaggio delle parole, e vedrete comparire sul suo volto, nello sguardo, nella mimica, e nelle reazioni del suo piccolo corpo, una tale gamma di espressioni emotive da lasciarvi davvero colpiti.

Come ben compreso da Alexander Lowen, che della libera espressione emotiva ha fatto il fulcro della sua bioenergetica e tra i tanti libri scritti ne ha firmato uno che porta l’emblematico titolo Arrendersi al corpo, da bambini nasciamo con la capacità di esprimere spontaneamente e direttamente le emozioni, nonostante tutto quello che potrebbe essere accaduto nella vita prenatale e prima ancora, nonostante tutto ciò che l’ereditarietà ci porta e tutti gli archetipi che dall’inconscio collettivo riceviamo. Mano a mano che cresciamo, invece, andiamo incontro a una progressiva riduzione di questa libertà, che dà luogo a tre fenomeni. Il primo si può definire fobia delle emozioni, ovvero la paura inconscia di sentirle e il conseguente evitare quegli stimoli che potrebbero attivarle.

 

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